giovedì 26 dicembre 2019

Francesco Graziani a Santo Spirito

Nel corso delle numerose iniziative culturali promosse dalla Direzione e dal CPIA, nello specifico nella persona del professor Claudio Marini, è venuto a trovarci lo scorso mercoledì 18 dicembre, il noto giornalista di Rai Radio 2 Francesco Graziani. Di lui conoscevamo quello di cui il prof. Marini ci aveva parlato a lezione, del suo impegno a favore dei diritti dell'uomo, contro il razzismo ed a favore dell'intergrazione. La discriminazione non è solo verso chi arriva da "clandestino", ma anche da chi in Italia arriva con i documenti in regola ed il solo torto è di avere la pelle nera. Di razzismo ed integrazione si è parlato anche lo scorso mercoledì, attraverso un servizio fatto da Graziani sul noto giocatore di calcio Kalidou Koulibaly. La storia del giocatore senegalese nato in un paesino al confine fra la Francia e la Germania con una composizione multietnica della popolazione che permette a Koulibaly di crescere senza subire alcun torto a causa del colore della sua pelle, ma Sanit Die De Vosges non è il resto del mondo. Le grandi qualità del giocatore lo porteranno a militare in vari campionati europei ed, infine, anche in Italia. Ed è in Italia che è accaduto l'episodio che Graziani ci narra. Durante una partita di campionato i cori dello stadio sono indirizzati in maniera offensiva verso il giocatore senegalese. A fine partita un ragazzino di dieci anni rimane sugli spalti ed ha il coraggio di chiedere la maglia di Koulibaly, ma soprattutto di scusarsi per l'inciviltà dei tifosi della sua squadra. La pulizia intellettuale e l'innocenza di un bimbo sovrastano come una montagna la stupidità ed il razzismo degli adulti. I bambini, scevri da pregiudizi non identificano il nero, il mussulmano, l'ebreo o il clandestino come causa dell'origine dei nostri mali, non sono preda del populismo che cerca consenso. Forse, bisognerebbe tornare un pò più bambini ed essere meno egoisti, pensando che la diversità di cultura è un valore che ci arricchisce, non ci depreda di nulla, ma ci regala molto.
A.P. e A.T.

lunedì 23 dicembre 2019

17 storie per 17 contrade


Forse solamente l’antico adagio “l’unione fa la forza” è in grado di spiegare – nella sua genesi, nel suo risultato – quella piccola gemma di luce che è “17 storie per 17 Contrade”, da pochi giorni in libreria. Ciascun elemento che lo compone, infatti, acquista significato e valore unicamente se lo si colloca accanto a tutto il resto che nell'opera confluisce e, confluendovi, la impreziosisce.


I racconti, che già a partire dagli incipit rivelano la loro natura fiabesca (“Tanto tempo fa, in una piccola e antica città”, “Tanto tempo fa, in un bel giorno assolato”, “In una splendida città, nei pressi di una delle porte più importanti, c’era una famosa fonte”), l’illustrazione di copertina di Emilio Giannelli, i bellissimi disegni a cura di Monica Minucci: è con questi materiali che è costruito “17 storie per 17 Contrade” che, complici le ridotte dimensioni (non più di ottanta pagine) e la cura riposta in ogni singolo dettaglio, a me ricorda tanto una miniatura medievale. Delicata e paziente. Luminosa. Lieve.
 
C’è molta luce, infatti, c’è molta leggerezza in questo libro. Nei disegni, certamente, dove farfalle, spruzzi d’acqua, civette, aquile, foglie, si librano nell'aria, e dove i colori, decisi ma mai aggressivi, incantano la vista e rendono la terra un giardino meraviglioso. Nei racconti, indubbiamente, dove il male – legato alla Natura, legata all'uomo – perde la sua opacità e la sua pesantezza, finendo con l’essere sconfitto, dinanzi al comportamento, ispirato a bontà e resistenza, di un animale o di un essere umano. Una constatazione, quest’ultima, tanto più significativa se si tiene conto del fatto che gli autori delle diciassette storie sono detenuti della Casa Circondariale di Siena, vale a dire persone che il male lo hanno per davvero conosciuto, lo hanno per davvero attraversato.

Di conseguenza, anche la violenza che raccontano (furto, rapimento, avvelenamento, tirannide), sebbene smussata, nelle sue punte più acri, dalla cornice spesso incantata che l’accoglie, è sempre una violenza che possiede una sua concretezza, una sua storica concretezza, legata, ora blandamente ora con nodi più stretti, alla biografia degli scrittori. Più forte di questa violenza, però, che vela la luce e tira giù a terra, è il desiderio di libertà (la sua luce, la sua leggerezza), che al momento si fa scrittura e che un domani si farà condizione di vita, la quale rinviene il suo nutrimento nella consapevolezza che non sono mai certi errori e certi sbagli a definire, per sempre e senza possibilità di riscatto, la nostra presenza nel mondo. Il passo che segue è tratto dall'introduzione di Michele Campanini, che ha ottimamente coordinato il lavoro.

“Questo libro è frutto del lavoro degli studenti della Casa Circondariale di Siena, meglio conosciuta come Santo Spirito, che si trova nel cuore del centro storico. In primavera alcuni studenti, che frequentano i corsi del C.P.I.A. 1 Siena presso Santo Spirito, mi hanno chiesto che cosa fossero quei tamburi che, ogni pomeriggio e fino al tramonto, risuonavano armoniosi da più parti della città: fra di loro nessuno è originario di Siena. Io sono il loro professore di Lettere. Abbiamo lasciato da parte la storia, la letteratura e, per alcune lezioni, ho provato a raccontare loro cosa è il Palio. Soprattutto le emozioni che si provano, fin da bambini, a crescere in una città magica. Dalle tradizioni così radicate, e ho parlato loro dell’attaccamento alla propria contrada, una seconda famiglia, che accompagna un senese per tutta la vita. Sono rimasti affascinati dai racconti e dalle letture che hanno ascoltato, con grande attenzione. Hanno così deciso di regalare diciassette storie ai bambini di Siena, e non solo a loro. Non sono racconti sul Palio, non sono storie su Siena, e neppure sulle Contrade. Sono storie di fantasia, fiabe, che prendono spunto dagli animali e dai simboli delle diciassette consorelle. Ogni simbolo ha alimentato l’immaginazione degli studenti che hanno scritto queste storie, con un aiuto soprattutto linguistico da parte mia. Ogni storia è speciale, l’ambientazione è fantastica, ma ci sono dei richiami a Siena e alle sue tradizioni”.


a cura di Francesco Ricci

Tratto dalla testata on-line SIENA NEWS







sabato 14 dicembre 2019

"17 Storie per 17 Contrade" finalmente in libreria

Presentazione del libro Martedì 17 Dicembre 2019 - Ore 17.30
nella Sala delle Lupe del Palazzo Pubblico di Siena


venerdì 13 dicembre 2019

"Paure a confronto"

Abbiamo scelto di parlare del carcere per farci conoscere. C’è vita dentro le mura e c’è un grande serbatoio di risorse umane.
Non siamo invisibili. Ognuno di noi porta dentro di sé aspirazioni, speranze e voglia di riscatto. Per questo motivo (e tanti altri…) abbiamo pensato di incontrare quanti vivono “dall'altra parte”. Una chiacchierata sui problemi dei detenuti e di ciò che gli stessi possono dare al mondo esterno. E’ nostro desiderio portare l’attenzione dei nostri ospiti (gente comune, persone semplici, giovani e meno giovani) la difficoltà di non avere strutture che ci possano accogliere dopo la detenzione. Strutture che siano di aiuto per il nostro reinserimento nei circuiti della vita così detta “normale". E per normalità intendiamo soprattutto un lavoro.
Insomma è nostra intenzione far conoscere le storie di un’umanità separata ma ancora viva. Ed è per questo che desideriamo raccontare quello che nessuno vorrebbe sentire e ancor meno provare sulla propria pelle. 
Vogliamo parlare non solo come detenuti, ma come mariti, padri, fratelli e soprattutto figli. Sì perché detenuti è una parola astratta e lontana mentre figli è un termine concreto. In questo vorremmo essere riconosciuti. E’ una grande scommessa e sarà un percorso lungo. Siamo consapevoli delle difficoltà di questo nuovo progetto che (speriamo) verrà raccolto in un numero unico. Unico in tutti i sensi. Forse è la prima volta che un carcere abbraccia e condivide con la città che lo ospita la sua vita e tenta di amalgamarla con la quotidianità di chi sta fuori.

Alberto, Salvatore, Giulio, Giuseppe, Mihai e Adel

martedì 10 dicembre 2019

Un invito a pranzo davvero speciale!

Abbiamo avuto il privilegio di essere invitati da Sua Eccellenza il Vescovo Augusto Paolo alla Santa Messa in Duomo e, terminata la funzione,
al pranzo che si è consumato in curia. Ci sentivamo quasi intimoriti, pensavamo di essere inadeguati al luogo e alla solennità dell'evento.
Arrivati in Curia per il pranzo la nostra timidezza si è sciolta, c'era tanta gente, tante famiglie di etnie e culture diverse, un'atmosfera familiare, ci siamo sentiti a casa e parte di una comunità sconosciuta fino a qualche attimo prima.
Né io né il mio compagno di detenzione siamo ferventi cattolici, ma abbiamo compreso che proprio alle persone come noi era rivolto l'invito. Inclusione, fratellanza e dialogo senza preclusioni e pregiudizi in quello che dovrebbe essere un modello di società moderna. Il Vescovo in mezzo a noi per ascoltare le nostre esigenze, ma anche per ridere e scherzare, intonare canti e cori, facendo sentire forte e chiaro il messaggio di una Chiesa tra la gente e per la gente.
E' un ricordo che rimarrà scolpito nelle nostre memorie. Sentiamo dal profondo del cuore di ringraziare il Vescovo Augusto Paolo, Don Giovanni, che ci segue costantemente in carcere e la Direzione dell'Istituto per averci permesso di vivere questa bellissima esperienza.
Grazie 
Gianluca e Paolo

sabato 7 dicembre 2019

Credere nella propria dignità



Il 25 novembre Marta Fana ha incontrato i detenuti della Casa Circondariale di Siena.
Abbiamo parlato di lavoro.
Dei suoi libri: Non è lavoro, è sfruttamento e Basta salari da fame (scritto insieme a Simone Fana) per Editori Laterza.
Ci ha parlato delle sue esperienze sul campo e di come ha costruito la sua ricerca.
Ha visitato la scuola e la biblioteca della Casa Circondariale, ci ha donato del tempo prezioso.
È stata una bella esperienza, oltre la presentazione, è stato un gran bell'incontro!


“Discutere insieme ai detenuti della Casa Circondariale di Siena di due libri sul mondo del lavoro di ieri e di oggi, con le spalle al passato e gli occhi rivolti al futuro, è stata un grande esperienza perché capace di restituire tutta la dignità umana che il tema lavoro possiede intrinsecamente.
Rivolgersi ed interloquire con detenuti, lavoratori ieri, oggi e domani mi ha costretta a pesare ognuna delle parole pronunciate, soprattutto per chi crede ancora che libertà nel lavoro e dal lavoro siano due ingredienti fondamentali del riscatto umano.
Cosa significa allora libertà nel lavoro per chi è costretto a fare il volontario per guadagnarsi la libertà di rimanere a contatto con la società fuori? e quanta dignità c’è tra chi pur in carcere continua a lavorare, a condividere con gli altri, scoprendo solidarietà.
Che i ragazzi che ho incontrato possano continuare a leggere, a confrontarsi, a credere nella propria dignità.”


Marta Fana

Tratto dal blog di Alessio Duranti